Introduzione

Approccio

a) Perché questa traduzione?

Passione per la ricerca. Il mio cruccio, conoscere il lavoro della polizia municipale di Roma alla nascita del Comune nel secolo XII: le incombenze, come vestiva, le sue regole. 

Palesando questo desiderio, gli amici dell’Archivio Capitolino mi presentarono una copia del primo Statuto di Roma, del 1363, quello studiato, trascritto dal testo amanuense integrato da Camillo Re, pubblicato nel 1880. Gli amici mi dissero che non ne esisteva una traduzione. Mi misi a lavoro. Dai titoli cercai i capitoli che mi interessavano, poi li tradussi.

Nel frattempo l’Archivio stesso fotocopiò tutti i documenti in suo possesso ai fini di archiviazione con mezzi elettronici. È stato questo progresso che mi ha facilitato il contatto ed il compito per tradurre Gli Statuti di Roma

b) Che cosa sono gli Statuti?

Al 1143 viene fissata la nascita travagliata del Comune di Roma. 

Dopo una dura lotta per l’indipendenza amministrativa, per liberarsi delle ingerenze papali ed ecclesiastiche, dei nobili, dell’Imperatore, si giunse al compromesso ed alla pace con papa Clemente III nel 1188: a Roma un’amministrazione civile guidata da un Senatore avrebbe governato la città compresa in uno Stato governato dall’autorità del papa. Le norme per mantenere l’ordine pubblico nell’Urbe, per gestire i rapporti dei cittadini tra loro, tra cittadini e le autorità costituite derivavano dal diritto romano e dalle disposizioni papali. Insomma il Comune presto sentì la necessità di norme proprie, adeguate ai tempi presenti. Vi riuscì nel 1363, riunendo un gruppo dei suoi uomini migliori, esperti di diritto, di vita e di responsabilità, scelti in rappresentanza del popolo dei tredici rioni e delegati a stendere una raccolta delle norme utili a regolare ogni circostanza della vita sociale. Furono gli Statuti di Roma, divisi in tre libri: il primo Delle cause civili ed estragiudiziali diviso in 129 capitoli, il secondo Dei delitti, diviso in 209 capitoli, il terzo Delle cose fuori dell’ordinario, diviso in 150 capitoli: i capitoli sono gli articoli nelle nostre disposizioni.

c) Vicenda storica

La caduta dell’Impero romano non fu la caduta della dominazione universale di Roma.

Però il medio evo per molti versi segnò Roma (governata dal papato) in senso negativo e dal 1143 al 1363, il primo periodo del “Comune”, non fu il migliore, anzi la città seguitò a decadere, sia in senso morale che in senso politico-pratico, nelle sue infrastrutture: case, palazzi, monumenti, strade. La vita dei cittadini si fece ancor più insicura in ogni aspetto, tanto che anche il papa spesso sentì la necessità di trasferirsi altrove, infine prese dimora ad Avignone, per mettersi sotto la protezione del re di Francia. L’esilio avignonese, 1305 – 1377, danneggiò il prestigio del papato e aggravò la situazione del territorio dello Stato Ecclesiastico. De guadagnò la soluzione “Città-Comune”.

Dal popolo di Roma ebbe le origini il tribuno Cola di Rienzo che nel 1349 tentò con la forza di riportare Roma, il suo Comune, ad un rinnovamento. Il tentativo fallì miseramente sette mesi dopo. 

I papi erano consapevoli del degrado in cui declinava il loro Stato e Roma in particolare. Dal 1352 Innocenzo VI pensò che il papato doveva rientrare nella Capitale dei suoi territori. In quei giorni nella situazione di anarchia dominante alcuni signori locali esercitavano il potere in proprio, altri erano divenuti veri usurpatori. Il papa creò il cardinale di Spagna Egidio Albornoz, suo legato e vicario generale con l’incarico preciso di restaurare manu militari l’autorità papale nei territori della Chiesa con piena libertà d’azione in campo politico e nell’organizzazione dell’amministrazione, nei rapporti con i sudditi.

Il papa gli raccomandò il visionario ex tribuno Cola di Rienzo, ma il cardinale non ebbe fiducia in lui, finché, dietro insistenza rumorosa del popolo, lo nominò Senatore, 1354. Ma per i suoi eccessi dopo due mesi di governo fu trucidato dalla furia del popolo stesso, che ne bruciò resti presso l’Augusteo.

L’Albornoz riportò la calma e nel 1357 emanò le Costituzioni degli Stati papali, dette le Costituzioni Egidiane, divise per le cinque province. 

In questo nuovo clima e con attenzione alle Costituzioni, che frattanto avevano rivisto la carica di Senatore, il Comune di Roma scelse una commissione di uomini saggi “qui…reformationi operam dederunt” per stilare gli Statuti, che appunto furono pubblicati nel 1363.

L’amore per Roma e per il suo Stato convinse il nuovo papa Urbano V a rientrare nei possessi di competenza e nella sua Capitale nel 1367. Lo accolse l’Albornoz, che poco dopo morì senza poter godere la festa di popolo che lo avrebbe celebrato nella basilica lateranense. Nel 1368 il papa prese cognizione, lesse e modificò gli Statuti: fu la prima edizione dei Nuovi. Ma il tentativo di Urbano V di ristabilire Roma sua sede fallì per la litigiosità delle fazioni. Scoraggiato, rientrò ad Avignone nel 1370. Tre mesi dopo morì, forse ucciso dalla delusione. 

Nel 1469 Paolo II per le mutate condizioni dei tempi, mise mano alla seconda grande riforma statutaria. Raccolse tante lamentele sugli aggiustamenti poco coerenti o mal sistemati che negli anni si erano accumulati e sovrapposti, li rese omogenei per un corpo vivente. Insomma modificò sostanzialmente e pubblicò ancora i Nuovi Statuti. 

Una terza riforma avvenne sotto il pontificato di Leone X intorno al 1519. Poi questi non subirono altri interventi importanti fino al 1809, quando le leggi napoleoniche li sostituirono. 

Infine nel 1816 Pio VII li abolì definitivamente.

d) Chi era Camillo Re, l’autore

Era nato a Roma nel 1842. Praticò l’avvocatura, divenne professore di diritto e grande studioso di cose del mondo antico, specializzato in quelle riferite a Roma. Fu socio dell’Accademia di conferenze storico-giuridiche a nome ed onore della quale divulgò e pubblicò le sue ricerche sulla Roma medievale ed in particolare sugli Statuti di Roma. Fu tra i fondatori della Società romana di storia patria. La sua carriera di studioso è dimostrata da una lunga lista di pubblicazioni come: Storia delle solennità negli atti di donazione dal VI secolo di Roma fino ai giorni nostri, del 1870 Studio di legislazione comparata sulla proprietà delle miniere, del 1873; Trattato sulla compravendita secondo il codice civile italiano, del 1877; Il matrimonio e la legislazione civile, del 1880; Il Campidoglio e le sue adiacenze nel secolo 14, del 1882; Del patto successorio, studio di legislazione comparata, del 1886; Le regioni di Roma nel medioevo, del 1889; oltre alla corposa ricerca, argomento di queste pagine, del 1880. Morì a Roma nel 1890.

e) Riflessioni 

Camillo Re ebbe in mano: 1) il codice ottoboniano-vaticano n. 1880, 

2) altro fondo ottoboniano-vaticano n. 741, 

3) il fondo vaticano n. 7308, 

4) il manoscritto nell’Archivio segreto Vaticano, 

5) il manoscritto dell’Archivio di Stato. 

Egli fu minuzioso, puntiglioso e puntuale nelle sue ricerche. Analizzò i codici secondo la scrittura, la calligrafia – in gotico maiuscolo e corsivo -, la composizione della pagina, del materiale usato. Si rese certo che tra tutti gli esemplari degli Statuti della città di Roma nei diversi archivi non v’era l’originale del primo, bensì copie di studiosi, di addetti ai lavori, rifatte ad uso di privati, ad uso forense. 

“…Roma si trova in peggiori condizioni delle città toscane e delle altre vicine; e per l’incendio degli archivi capitolini avvenuti nel sacco di Roma (1527) non ci è rimasto verun antico manoscritto de’ suoi statuti”. 

Si convinse che il codice n. 1880 era il più vicino al primo originale, trascritto agli inizi del 1400, anteriore al n. 741 scritto nel 1413 (di questo abbiamo particolari più precisi: conosciamo il copista e sappiamo che per trascriverlo impiegò un mese). 

Però, viste le carenze che presentava il codice n.1), venne da lui confrontato e completato con inserti degli altri reperti, venne riempito delle pagine, dei capitoli, delle parole mancanti o incomprensibili. Lo statuto il Re lo ritrovò a pezzi e lo ricostruì. Lo statuto è di un valore straordinario, non tanto perché monumento pubblico e solenne, quanto perché nella storia municipale è fondamento delle magistrature civili, collezione degli ordinamenti da esse emanati nella Roma del medioevo.

Ci sono giunti frammenti degli statuti del secolo XIII… “in quel secolo la città di Roma avea antichi statuti che riformava e raccoglieva in un codice di leggi municipali” 

“Dei tempi di Carlo d’Angiò esistono varie lettere che paiono accennare ad un vero e proprio statuto già esistente, havvi eziandio una tradizione costante la quale colloca la compilazione di uno statuto nell’anno 1246…, nel 1272 si accenna a statuti sparsi non raccolti”.

Esistevano statuti delle corporazioni delle arti e mestieri.

Gli statuti di Roma “non furono giammai pubblicati, perché fu trascurata o mal conosciuta la istoria istessa della città … poi non poté questa seconda neppur concepirsi, perché non fu mai giustamente apprezzato il valore dei primi”. “… Non erano che la manifestazione scritta dei costumi di una città o di una provincia ed i quali in tanto aveano forza in quanto n’erano lo specchio fedele”

Con tutta sicurezza, dunque, noi possiamo affermare che Roma non ebbe il suo vero e proprio statuto prima del secolo XIV, prima del 1358. Quella del 1363 fu una giurisdizione generale statutaria che arrecò il grandissimo vantaggio di ricondurre alla unità quella infinita varietà di leggi speciali. 

Gli statuti sono l’organizzazione del Diritto penale, del diritto di procedura penale e del diritto amministrativo insieme. Rappresentano una giustizia democratica contro la prepotenza de forti. Spingono una rigorosa sorveglianza sanitaria sulle derrate alimentari, salvaguardano una libera circolazione sui ponti e attraverso le porte della città senza che nessun signore prepotente pretenda esborsi per sé. Prevedono molte pene pecuniarie e queste secondo l’entità del delitto crescenti secondo le possibilità economiche. Da notare le pene sono previste più certe e severe per chi deve applicarle e non lo fa, vale a dire per i pubblici ufficiali che per chi delinque. Sono previste tante altre cose, ma ci fermiamo qui.

f) Il Senatore 

Evitiamo le disquisizioni sulle procedure, sul dettato delle norme in particolare. Il nostro piccolo commento nel merito sfiora appena questa magistratura. 

Prima delle Costituzioni v’era confusione nella scelta del Senatore e nelle mansioni di governo. Lo statuto cercò di riportarlo a giusta regola. Spesso veniva nominato dal papa o sostituito da altri corpi di magistrature più forti o prevalenti in quel momento. I senatori erano due scelti tra i baroni e i magnati della città. Le Costituzioni conferirono la dignità ad una sola persona non appartenente ad alcuna delle famiglie patrizie. Doveva essere forestiero, di luogo lontano almeno 40 miglia da Roma, durava in carica sei mesi e percepiva un salario di 1800 fiorini d’oro, che in parte gli erano versati subito da usare per restauri e bonifiche del Campidoglio, in parte gli venivano versati a metà mandato ed in parte gli venivano liquidati dopo la decadenza, quando fosse chiuso un accurato controllo sul suo operato.

Durante il mandato doveva mantenere l’ordine e provvedere alla sicurezza della città e del distretto, giudicare cause civili e criminali, difendere la fede cattolica, verificare l’unità dei pesi e misure, del peso legale delle monete, aveva diritto di misericordia e di grazia. Lo coadiuvava un consiglio privato , uguale a potere esecutivo, un consiglio generale pubblico, uguale a potere legislativo ed altri pubblici ufficiali.

g) Difficoltà di traduzione 

Gli Statuti sono scritti in latino diffusamente usato in quel secolo, ma si tratta della latinizzazione di parole del linguaggio volgare, di una lingua ecclesiastico-notarile aggiustata alla materia,  il“burocratese” dell’epoca, che nell’insieme oggi non è di facile comprensione.

Vi è consueta la mancanza di dittonghi e il modo di scrivere alcune parole, per es.: ct=tt, mpn= nn.

Molte sono le parole di uso volgare, nomi di cose e di attrezzi del tempo, latinizzate per l’occasione oggi cadute in disuso e incomprensibili. Non esiste dizionario dell’epoca.

La mia traduzione è pressoché letterale per esser più vicina sia al pensiero dei nostri avi, ma anche per far comprendere parola per parola cosa si voleva regolamentare.